Il
forzista assolto dopo sei anni dà forfait all’incontro sulla
legalità organizzato dall’arcivescovo che lo accusò dal pulpito
Chieti. Sei anni di silenzio. Ma poi, una volta uscito pulito da "rifiutopoli”, l’onorevole
Fabrizio Di Stefano (FI) ha atteso l’occasione giusta per togliersi
un primo “sassolino” dalle scarpe legato alla vicenda
giudiziaria. E più che un “sassolino” si tratta di un “macigno”,
scagliato direttamente contro l’arcivescovo metropolita di Chieti
Vasto, monsignor Bruno Forte.
L’occasione
propizia è stata l’invito di monsignor Forte a partecipare al
consueto incontro con la classe politica locale organizzato dalla
Curia ad inizio di ogni anno, intitolato “Legalità e Giustizia”,
che si tiene questa mattina al Seminario. L’invito a partecipare è
stato spedito a tutti i sindaci, i consiglieri comunali, provinciali
e regionali e ai parlamentari eletti nella diocesi. Ma Di Stefano ha
risposto con un secco “no grazie”, spiegando i motivi in una
pesantissima lettera subito resa pubblica.
LA
LETTERA. L’incipit della missiva è canonico, “Eccellenza
Reverendissima”, ma il resto è di fuoco. «Le vorrei esprimere i
motivi per cui non parteciperò all'incontro del 10 gennaio. In una
stagione in cui sul panorama politico italiano troneggiano tematiche
che aggrediscono i valori cardine della cristianità (il ddl.
Cirinnà, con il riconoscimento paritario tra matrimonio omosessuale
ed eterosessuale e conseguentemente sulla possibilità delle adozioni
anche da parte delle coppie omosessuali), reputavo più consona una
Sua riflessione su queste tematiche, piuttosto che l'avventurarsi su
una materia, appunto quella della legalità e della giustizia, dove i
suoi comportamenti nei miei confronti non sono stati proprio
encomiabili.
Provo
una personale, e forse comprensibile, difficoltà umana all'idea di
ascoltare una lezione, appunto sul tema della legalità e della
giustizia, da Lei che, appena quattro giorni dopo l'inizio della mia
vicenda giudiziaria, salì sul pulpito della cattedrale per
interpretare uno strumento a tutela dell'indagato come emblema di
sconcerto e di disgusto, della politica regionale».
L’ANTEFATTO.
Di Stefano si riferisce a quando, oltre sei anni fa, lo raggiunge un
avviso di garanzia per un’indagine che fece molto scalpore, la
cosiddetta “Rifiutopoli abruzzese” che spaziava da appalti
truccati a finanziamenti illeciti ai politici. Qualche giorno dopo lo
scoppio della bomba mediatica, monsignor Forte, dal pulpito della
cattedrale di Vasto, pur senza citare mai nomi e cognomi, fa espresso
riferimento a quella vicenda giudiziaria, censurando in maniera netta
coloro che vi erano rimasti coinvolti. E Di Stefano quelle accuse dal
pulpito non le ha mai dimenticate. Ha aspettato l’assoluzione e,
alla prima occasione, è partita la filippica. Forte, d’altronde,
l’occasione gliel’ha servita su un piatto d’argento, con
l’incontro su legalità e giustizia, al quale ha invitato come
relatori il professor Giuseppe Dalla Torre, ex rettore della
Lumsa di Roma, e il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini.
LE
SCUSE MANCATE . «Non nego», continua la lettera, «che in questa
difficoltà ci sia un forte connotato umano, in particolare legato al
pensiero che dopo sei anni, alla luce della mia completa assoluzione,
non ho ricevuto le Sue scuse che, in base ai miei principi etici e
cristiani, con tutta onestà mi sarei aspettato. Per queste ragioni
non me la sento di ascoltare da Lei una lezione su questo tema, tanto
più che sarà affiancato da un discussant che sei anni fa,
come me, ebbe un finanziamento lecito, anche maggiore del mio, ma che
secondo il suo metro di giudizio avrebbe dovuto essere additato anche
lui al pubblico ludibrio.
di
Arianna Iannotti
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