CHIETI
– L'onorevole contro monsignore. No, non è la riedizione della
celebre serie cinematografica di Peppone e Don Camillo, ma la
querelle finita anche alla ribalta della cronaca nazionale (vedi Il
Fatto Quotidiano) che ha visto l'onorevole Fabrizio
Di Stefano (Forza
Italia) contrapporsi all'arcivescovo metropolita di Chieti Vasto,
monsignor Bruno
Forte.
“Non
avevo certo preventivato di finire alla ribalta delle cronache
nazionali", ha detto Di Stefano ad AbruzzoWeb,
"certo è che questo risalto mediatico non mi fa pentire di ciò
che ho detto. Per il semplice motivo che ritengo di essere nel
giusto, come testimoniano le tante chiamate ricevute e le
attestazioni di stima in rete”.
E
dunque l’onorevole forzista non sembra avere intenzione di fare
passi indietro nella polemica che lo ha visto puntare il dito
direttamente contro Forte, che non è solo l’arcivescovo della sua
diocesi ma anche un eminente teologo che ha ricoperto diversi
prestigiosi incarichi ecclesiali come le nomine del Papa a segretario
speciale delle due Assemblee generali straordinarie del Sinodo dei
vescovi, entrambe sul tema della famiglia, svoltesi nel 2014 e nel
2015.
Insomma,
uno dei nomi che contano all’interno della Chiesa. E a sfidare il
monsignore non è, d'altronde, un parlamentare qualunque, ma un
onorevole che si è distinto per una serie di battaglie per portare
avanti temi cari alla tradizione cattolica.
E
allora come mai Di Stefano si è messo di traverso all’insigne
presule? “Perché”, spiega “ritenevo, e ritengo, di essere
stato vittima di un’ingiustizia. E di fronte a un’ingiustizia io
non chino la testa”.
Per
capire di quale “ingiustizia” di sia trattato basta prendere la
lettera che Di Stefano ha indirizzato a Forte spiegando perché non
sarebbe andato all’incontro con i politici della diocesi indetto
dall’arcivescovo per lo scorso 10 gennaio.
“Eccellenza
Reverendissima – inizia Di Stefano - Le vorrei esprimere i motivi
per cui non parteciperò all'incontro del 10 gennaio. In una stagione
in cui sul panorama politico italiano troneggiano tematiche che
aggrediscono i valori cardine della cristianità (il ddl. Cirinnà,
con il riconoscimento paritario tra matrimonio omosessuale ed
eterosessuale e conseguentemente sulla possibilità delle adozioni
anche da parte delle coppie omosessuali), reputavo più consona una
Sua riflessione su queste tematiche, piuttosto che l'avventurarsi su
una materia, appunto quella della legalità e della giustizia, dove i
suoi comportamenti nei miei confronti non sono stati proprio
encomiabili”.
“Provo
una personale, e forse comprensibile, difficoltà umana – continua
l’onorevole - all'idea di ascoltare una lezione, appunto sul tema
della legalità e della giustizia, da Lei che, appena quattro giorni
dopo l'inizio della mia vicenda giudiziaria, salì sul pulpito della
cattedrale per interpretare uno strumento a tutela dell'indagato come
emblema di sconcerto e di disgusto, della politica regionale”.
Per
comprendere a cosa il parlamentare si stia riferendo dobbiamo fare un
salto indietro nel tempo di oltre sei anni e tornare allo scandalo
della “rifiutopoli” abruzzese che vide Di Stefano tra gli
indagati. Ebbene, a pochi giorni dall’avviso di garanzia, monsignor
Forte, dal pulpito della cattedrale di Vasto, pur senza citare nomi e
cognomi, fa un chiaro riferimento a quella vicenda giudiziaria,
censurando coloro che vi erano rimasti coinvolti. E Di Stefano quelle
parole, quelle accuse dal pulpito di una chiesa, non le ha mai
mandate giù.
Ha
aspettato l’assoluzione e, alla prima occasione, gli ha restituito
pan per focaccia. Monsignor Forte, d’altronde, l’occasione
gliel’ha servita su un piatto d’argento, con l’incontro su
legalità e giustizia, al quale ha invitato come relatori il
professor Giuseppe
Dalla Torre,
ex rettore della Lumsa di Roma, e il vicepresidente del Csm, Giovanni
Legnini.
“Non
nego - continua nella lettera - che in questa difficoltà ci sia un
forte connotato umano, in particolare legato al pensiero che dopo sei
anni, alla luce della mia completa assoluzione, non ho ricevuto le
Sue scuse che, in base ai miei principi etici e cristiani, con tutta
onestà mi sarei aspettato. Per queste ragioni non me la sento di
ascoltare da Lei una lezione su questo tema, tanto più che sarà
affiancato da un discussant che sei anni fa, come me, ebbe un
finanziamento lecito, anche maggiore del mio, ma che secondo il suo
metro di giudizio avrebbe dovuto essere additato anche lui al
pubblico ludibrio”.
“In
conclusione – termina la lettera - preferisco polarizzare la mia
attenzione verso quegli incontri che, in linea con le ultime
dichiarazioni del cardinal Bagnasco, intendono assumere una posizione
netta a difesa della famiglia come nucleo fondante del nostro
secolare patrimonio di identità e tradizione”.
La
lettera è stata resa pubblica alla vigilia dell’incontro su
legalità e giustizia. Ma la mattina dopo non ha avuto riscontri. Né
Forte né gli altri due relatori vi hanno fatto accenno diretto.
Manco
a dirlo, insomma, le scuse evocate da Di Stefano non sono arrivate. E
il giorno successivo monsignor Forte è partito per Gerusalemme per
partecipare a importanti incontri.
Ma
il vuoto lasciato da uno dei due contendenti non pare aver spento la
contesa. Perché l’onorevole forzista sembra intenzionato a non
lasciare cadere la polemica.
di
Arianna Iannotti
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