Pescara. “Dare vita su tutto il territorio regionale alla costituzione dei comitati, attraverso la fondazione ‘Cantiere Abruzzo’ per dire “NO” alla proposta di riforma costituzionale elaborata dal governo Renzi dove si consacrerà la fine della Repubblica e il consolidamento del principato”.
Ad affermarlo sono stati l’onorevole Fabrizio Di Stefano, Presidente della Fondazione Cantiere Abruzzo-Italia, con il Capogruppo di Forza Italia in Regione Lorenzo Sospiri, il Presidente della Commissione Vigilanza Mauro Febbo, il Presidente della Commissione Immigrazione Emilio Iampieri, durante la conferenza stampa svoltasi questa mattina a Pescara presso la sede del Consiglio Regionale.
“Questa è la riforma di una minoranza – esordisce l’on. Fabrizio Di Stefano – che, grazie alla sovra rappresentazione parlamentare fornita da una legge elettorale dichiarata (anche per questo motivo) illegittima dalla Corte costituzionale, è divenuta maggioranza solo sulla carta.
Una simile maggioranza non può spingersi fino a cambiare, con un violento colpo di mano, i connotati della Costituzione. Il metodo utilizzato nel processo di riforma è stato il peggior modo di riscrivere la Carta di tutti: molteplici forzature di prassi e regolamenti hanno determinato nelle Aule di Camera e Senato spaccature insanabili tra le forze politiche, giungendo al voto finale con una maggioranza racimolata e occasionale.
Quello stesso Parlamento – sottolinea Di Stefano – la cui composizione è deformata e alterata da un premio di maggioranza illegittimo, e che ha visto in quasi tre anni ben 244 membri (130 deputati e 114 senatori) cambiare Gruppo principalmente per sostenere all’occorrenza la maggioranza, ha infatti portato avanti la riforma, su richiesta dell’Esecutivo, utilizzando gli strumenti parlamentari acceleratori più estremi, delineando un vero e proprio sopruso nei confronti delle garanzie e delle prerogative riconosciute all’opposizione.
Inoltre – chiosa il Presidente della Fondazione Cantiere Abruzzo – La sommatoria tra riforma costituzionale e riforma elettorale spiana la strada ad un mostro giuridico che travolge i principi supremi della Costituzione.
L’ “Italicum”, infatti, aggiunge all’azzeramento della rappresentatività del Senato e al centralismo che depotenzia il pluralismo istituzionale, l’indebolimento radicale della rappresentatività della Camera dei deputati. Il premio di maggioranza alla singola lista consegna la Camera – che può decidere senza difficoltà, a maggioranza, in merito a tutte o quasi tutte le cariche istituzionali – nelle mani del leader del partito vincente (anche con pochi voti) nella competizione elettorale.
“La stessa riforma del Titolo V della Costituzione, – affermano i consiglieri regionali Sospiri, Febbo e Iampieri – così come riscritta, tornando ad accentrare materie che, nel riordino effettuato nel 2001, erano state assegnate alle Regioni, matura l’eccesso opposto, ovvero un centralismo che non è funzionale all’efficienza del sistema. Aumenterà la spesa statale, e quella regionale e locale, specie per il personale, non diminuirà.
Ci si avvia solo verso la destituzione del pluralismo istituzionale e della sussidiarietà. Non basta l’argomento del taglio dei costi, che più e meglio poteva perseguirsi con scelte diverse. Né basta l’intento dichiarato di costruire una più efficiente Repubblica delle autonomie, che è clamorosamente smentito dal farraginoso procedimento legislativo e da un rapporto Stato-Regioni che non valorizza per nulla il principio di responsabilità e determina solo un inefficiente e costoso neo-centralismo. Se proprio si voleva ragionare sul taglio dei costi, e sulla riduzione degli eletti, andavano magari fatte scelte più drastiche”.
“Le funzioni attribuite al nuovo Senato – sottolinea Mauro Febbo – sono ambigue e il modo di elezione dei nuovi senatori è totalmente confuso, prevedendo peraltro che siano rappresentati enti territoriali (regioni e comuni) con funzioni molto diverse. Non potrà funzionare. Infatti basti vedere quello accaduto sulle Province dove non sono state eliminate e sono ancora in vita creando solo confusione nella gestione dei problemi territoriali. Se dovesse passare questa riforma pertanto avremo un senato di nominati, un parlamento che perde la sua effettiva rappresentanza democratica. Una pessima riforma che non diminuisce i costi della politica, anzi li aumenta; che calpesta la volontà del corpo elettorale e instaura un regime politico fondato sul governo del partito unico”.
“Pertanto – concludono Di Stefano, Sospiri, Febbo e Iampieri – questa riforma costituzionale per il suo codice genetico e per i suoi contenuti destituisce il meglio della tradizione democratica del nostro Paese: divide anziché unire, lacera anziché cucire. Questa riforma nasce già fallita”.
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